ROMA (11 novembre) - C’è uno strofinaccio di troppo nel teorema accusatorio che proietta Raniero Busco sul banco degli imputati per il delitto di via Poma. E un secchio di quelli utilizzati per le pulizie. E ancora, ci sono chili di carte che raccontano come fu trovato il corpo di Simonetta e qual’era il suo stato d’animo al momento del ceffone che la stordì, consegnandola alla furia del suo assassino.
Perché nel processo che comincerà il prossimo 3 febbraio in corte d’Assise, l’accusa dovrà fare in conti anche e soprattutto con le prove raccolte dagli altri magistrati che si sono avvicendati al timone di questa indagine. E che hanno disegnato un identikit del killer che non assomiglia al profilo dell’ex fidanzato di Morena. Ma andiamo con ordine.
A cominciare dagli indizi che hanno convinto il pubblico ministero odierno a bussare alla porta di Raniero Busco. Sono fondamentalmente quattro: una traccia di saliva sul reggiseno che indossava Simonetta; una somiglianza dell’arcata dentaria di Busco con l’impronta lasciata sul seno sinistro della ragazza; una sua contraddizione nell’indicare dove fosse il pomeriggio del delitto; una compatibilità del suo Dna con una delle tracce trovate nell’appartamento. Quattro indizi solidi. Che però non sembrano acquisire mai la valenza di ”prova” processuale se confrontati con le verità investigative che detective del calibro di Nicola Cavaliere e Antonio Del Greco misero nero sui bianco in quella calda estate del Novanta.
A cominciare dalla relazione di servizio che descrisse la scena del crimine: la camera in cui si verificò l’omicidio venne ripulita accuratamente. Simonetta morì praticamente dissanguata e per terra era tutto asciutto. Almeno tre litri di sangue, disse l’autopsia, furono raccolti e eliminati. Sparirono anche i vestiti che l’assassino strappò via dal corpo della ragazza: una giacca bianca a maniche corte, stile Marina, acquistata per corrispondenza sul catalogo Postalmarket, e un pantacollant blu, descritto come molto provocante. Il motivo di una condotta del genere, spiegarono gli investigatori, poteva essere uno solo: l’assassino aveva intenzione, con il favore della notte, di far sparire il cadavere dall’ufficio degli Ostelli della Gioventù. Voleva allontanare le indagini, i sospetti, le curiosità da via Poma. Una preoccupazione che poteva avere solo qualcuno che abitava o che lavorava in quel palazzo. Non certo Raniero Busco, che veniva dall’altra parte della città.
C’è la saliva sul reggiseno, c’è il morso. Ma la sera prima del delitto Simonetta vide Raniero: forse si scambiarono effusioni. Sicuramente due sere prima erano a casa di Annarita Testa, un’amica di lei, che raccontò: «In casa ci siamo appartate ognuno con il suo fidanzato e Simonetta è andata in camera mia, dove c’è la moquette...». E la traccia di sangue, che secondo l’accusa Busco potrebbe aver lasciato dopo essersi ferito nella collutazione, è solo ”compatibile”. Che è un concetto vago, quasi quanto quello del colore degli occhi. E poi la perizia sul corpo disse che non c’erano segni di difesa passiva sulle braccia, sulle gambe o sulle mani di Simonetta. Sotto le sue unghie non c’erano tracce di capelli, di peli, di pelle, che sono caratteristici del tentativo di una lotta estrema per la sopravvivenza. Significa che non ci fu colluttazione: chi l’ha uccise, l’ha colse di sorpresa, a freddo. E ancora: Raniero Busco non aveva movente. Quel sette agosto voleva solo partire per le vacanze con i suoi amici, senza di lei, come aveva fatto l’estate precedente, perchè «il nostro rapporto sentimentale non era equilibrato, nel senso che io nutrivo un semplice affetto nei suoi confronti, mentre lei mi amava strenuamente ed a volte mi faceva capire che da me pretendeva un maggior coinvolgimento», spiegò il ragazzo agli inquirenti.
Che raccolsero infinite conferme nella loro comitiva di amici: era Simonetta a inseguire Raniero; lui voleva sottrarsi a quelle richieste di attenzioni e di presenza costante. E poi: Simonetta fu oggetto di una violenza inaudita: 29 coltellate, molte delle quali nella zona del pube, e poi il morso sul seno, il parziale denudamento. Che quella non fu una messinscena lo conferma il fatto che il killer voleva nascondere il corpo, tanto da ripulire la stanza. Quindi chi la uccise fu colto da un raptus sessuale vero. E Raniero Busco non era esattamente il più sospettabile di un impulso del genere: poteva avere Simonetta quando voleva.
E’ vero però che quando gli chiesero un alibi, lui rispose che era con l’amico Simone Palombi. Che invece era altrove. Ma glielo domandarono sedici anni dopo il delitto, quando il 7 agosto 1990 era ormai un giorno lontanissimo nel tempo.
massimo.martinelli@ilmessaggero.it
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Via Poma, anatomia di un mistero

di Massimo Martinelli
13/11/2009 commenti (4)