11 Febbraio 2005
"Dov'era Dio?" molti si sono chiesti davanti alla tragedia del sud-est asiatico. E' una domanda seria. Una domanda che ci facciamo quotidianamente davanti a sofferenze di ogni tipo. Una domanda spesso sommessa, segreta, non gridata ma sofferta silenziosamente nell'intimo. Due risposte mi vengono in mente. La prima: "non credo in Dio perché tutto va bene, ma siccome credo in Dio credo che in tutto c'è un bene nascosto che prima o poi verrà a galla". "Non credo in Dio perché lo vedo ma siccome credo in Dio lo vedo sempre misteriosamente all'opera. Solo attendo di capirlo". La seconda risposta: chiedere a Dio, davanti al dolore, dove si trova non è una bestemmia ma una preghiera, una legittima richiesta di un uomo piccolo davanti a un Dio troppo grande. La preghiera non è un'invocazione astratta ma la presenza concreta di tutto il nostro essere davanti a Dio, l'offerta di me a lui così come sono. Il mio urlo, il mio pianto, la mia imprecazione, il mio dubbio, il mio vuoto interiore, il mio peccato che mi umilia, l'ingiustizia che mi calpesta sono la mia preghiera. Li pongo davanti a Lui come li vivo, li innalzo fino al suo trono, li deposito come mi escono dal cuore dentro il Suo cuore. Lui raccoglie tutto il mio gemere, il mio dubitare, il mio scalciare, il mio accusare e se lo stringe forte a sé. Il mio e il suo cuore si mescolano, il mio e il suo mistero si compenetrano e una luce si prepara, un germoglio nuovo si fa stradia dal chicco spappolato sotto terra. A Dio si può dire tutto, perché la preghiera è il mio vissuto e la fede è gettarmi addosso a Lui con tutto il mio peso. Ecco alcune delle espressioni più drammatiche, più profonde e più umane della Bibbia: “Fino a quando Signore continuerai a dimenticarmi? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?” “Dio mio, invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo riposo... io sono verme non uomo” “Perché Signore mi respingi, perché mi nascondi il tuo volto... i tuoi spaventi mi hanno annientato, mi circondano come acqua tutto il giorno” "Signore perché il mio dolore è senza fine? sei diventato per me come un torrente infido dalle acque incostanti” “ Il mio occhio piange senza sosta, sono salite le acque fin sopra il mio capo e dissi: è finita per me! Ho invocato il tuo nome Signore dalla fossa profonda” “Sappiate che Dici mi ha piegato, mi ha avviluppato nella sua rete. Ecco grido ma non ho risposta, chiedo aiuto ma non c 'è giustizia”. Diciamogli dunque: dove sei? PuntiamoGli pure il dito addosso in un impeto di collera, e di dolore, ma poi stringiamoci addosso a Lui e facciamoci portare, come un bambino piccolo in braccio a sua madre, anche in sala operatoria, fin sul lettino del chirurgo: questo fa la differenza.
C'è una terza risposta, la più difficile e la più complessa, quella che maggiormente piega la nostra sicurezza, spiazza le nostre logiche più razionali, spezza il nostro orgoglio, la nostra illusione di dominare il mondo, la nostra pretesa di uomini giusti. La risposta è: dietro ad ogni tragedia c 'è una tragedia più profonda che coinvolge l’universo intero. Una tragedia le cui radici sono nascoste e antiche ma i cui frutti amari sono di ogni tempo e ben visibili, Questa tragedia si chiama peccato e la si può paragonare, per capirla, a un'infezione nascosta che dà come sintomi convulsioni e attacchi di febbre altissima che stremano l'organismo e lo portano ogni volta sull'orlo del collasso o della morte. Il mondo, dice
Se non vogliamo allora sprecare una tragedia o una morte, o seppellire sotto le parole eventi dolorosi privati o pubblici dobbiamo sempre daccapo chiederci: dove stiamo andando? Attorno a cosa ruota la nostra vita? Siamo davvero giusti o siamo chiamati alla conversione? Dov'è davvero Dio? Farsi solo domande sui sistemi di allarme e di prevenzione, fare solo ricerche di natura medica o scientifica, indagare solo sui danni di natura economica, significherebbe sprecare la morte di tanti e buttare al mare un patrimonio di dolore. Le prime domande sono importanti e doverose. Ma le seconde lo sono ancora di più. Le prime sono difficili, le seconde ancora di più. Le prime permettono di ricostruire, le seconde permettono di rinascere.
Se poi, ma qui la riflessione prenderebbe di nuovo il largo, ci mettiamo davanti al dolore innocente e puro come quello dei bambini, allora abbiamo il dovere di interrogarci sul valore di questa innocenza per noi, sulla dignità degli indifesi, sul posto che i più piccoli, i più puri, i più inermi e i più offesi occupano nella storia e nella nostra vita concreta. Se non vogliamo che questa sofferenza innocente scompaia semplicemente sotto le onde e si riveli inutile per sempre dobbiamo riscoprire il sangue innocente di Cristo Agnello senza macchia. Il mistero di questo sangue che lava le colpe del mondo ci farà scoprire i mistero di quell'innocenza che si fa carico silenziosamente del male del mondo e lo affoga, come Cristo, nella propria purezza. Apparirà come la vena innocenza, mite umile silenziosa, è l'unica in grado di riscattare il mondo dalla falsa Innocenza. Questa vera innocenza si rivelerà come una grazia risanatrice che nessuna onda potrà portar via, e come l'unica forza in grado di liberare dal fango il mondo intero. Ci aprirà finalmente gli occhi su qualcosa che siamo chiamati a cambiare e su vie di luce che siamo chiamati a intraprendere. Potremo capire come trasformare noi stessi il dolore in amore e la nostra sofferenza in uno strumento di vita per il mondo. Le false innocenze, astiose e presuntuose, cadranno e finalmente dall'umiltà potrà nascere una creatura nuova.
Con affetto don Andrea